Diffusione di immagini ritoccate di insegnanti durante lezioni online: conseguenze per i genitori
Immaginiamo già che le possibili giustificazioni potranno essere del tipo “Ma era solo uno scherzo”; “Era una ragazzata”; “Chissà anche loro che cosa avranno da studenti”, riferito ai professori vittime di quello che sembra il nuovo passatempo tra gli studenti annoiati dalla DAD: scattare immagini dei docenti mentre tengono lezioni e diffonderle previ ritocchi mirati sui loro smartphone di ultima generazione. Ed ecco così che dalla prof di matematica con corna e pizzo mefistofelico o l’insegnante di latino con faccia da maiale, passiamo ad immagini in cui i docenti vengono ridicolizzati in maniera ancora più pesante e volgare dai loro studenti che, dopo, potranno vantarsi dell’impresa sui social.
Premesso che sarebbe vietato riprendere immagini dei computer sui quali oggi, purtroppo, vengono tenute le lezioni in attesa di tornare alla didattica in presenza, la domanda da farsi sarebbe quella del perché degli studenti, all’interno della loro, abbiano bisogno di tenere sul loro tavolo il cellulare elemento sicuramente di distrazione dall’insegnamento; ma questo è un argomento di cui dovrebbero farsi carico i genitori che, impegnati in altro o confidando che i figli non usino il cellulare, dimenticano le possibili conseguenze. Queste conseguenze possono essere anche inattese e ripercuotersi anche sui budget familiari. Il codice penale è abbastanza chiaro: si tratta di diffamazione in quanto l’intento viene percepito come diffamatorio e denigratorio oltre ad essere comunicato ad un numero potenzialmente enorme di persone. Sul punto, inoltre, la giurisprudenza è chiara in quanto non viene richiesto il dolo specifico, cioè quello vero e proprio di voler intenzionalmente screditare una persona; è sufficiente il dolo generico, cioè quello di porre in essere il comportamento con una consapevolezza (anche implicita) di usare espressioni che nella percezione dell’uomo medio siano potenzialmente idonee a ledere e screditare l’altrui reputazione.
Ovviamente ogni caso deve essere valutato nelle sue specificità: la satira e il dileggio possono essere accettati purché in determinati limiti; il semplice inserimento di una emoticon sul volto di un insegnante difficilmente sarebbe considerato reato mentre riempire la foto di un docente sovrappeso di torte e altri dolciumi ben può essere considerato diffamatorio in quanto ci si prende gioco di una caratteristica fisica della persona.
Precisiamo che eventuali conseguenze penali potranno registrarsi solo per chi abbia compiuto i quattordici anni, limite minimo della imputabilità, ma i genitori ben possono essere comunque chiamati a rispondere a livello civile: il singolo docente ed anche la scuola sono perfettamente legittimati a richiedere il risarcimento dei danni e l’articolo 2048 del Codice Civile espressamente prevede che il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito cagionato dai figli.
Possibilità quindi per le vittime dei loro studenti di rivolgersi ai competenti giudici civili per ottenere il risarcimento dei danni ed estremamente difficile per i genitori evitare una condanna in quanto la norma prevede che per liberarsi dalla responsabilità debbano dare una rigorosa prova di non avere potuto impedire il fatto. Una prova diabolica viene definita in quanto l’avere lasciato il cellulare in mano al figlio durante una lezione, cioè quando non ve ne era alcuna necessità, è elemento sufficiente per far emergere una loro responsabilità se non essere addirittura ritenuto un aggravante.
Al momento dell’entrata in vigore della didattica a distanza vennero considerati tutti gli aspetti possibili relativi alla privacy e alla sicurezza dei dati, ma non si era debitamente tenuto conto di due elementi fondamentali che possono rivelarsi variabili impazzite: i ragazzi non propriamente corretti e inconsapevoli delle conseguenze dei loro comportamenti e genitori troppo distratti. Forse qualche migliaio di euro di risarcimento danni potrà portare a rivedere le loro posizioni.
(a cura dell’Avv. Gianni dell’Aiuto)