Vorremmo iniziare questo articolo, rassicurando lettrici e lettori che il titolo, anche se a prima vista può suonare come una minaccia, non ha alcun intento intimidatorio. Si tratta di una novità voluta da Papa Francesco e che ha come obiettivo quello di non annoiare i fedeli. Ma di cosa si tratta?
Durante la Santa Messa può capitare di imbattersi in omelie (o per dirla in maniera un po’ più diretta “prediche”) che purtroppo portano i fedeli a sentire ma non ad ascoltare. In altri termini, l’assemblea (se non tutta, una parte di essa), si ritrova, suo malgrado, a pensare ad una serie di situazioni che con la Funzione religiosa hanno ben poco o niente in comune: cosa fare per pranzo/cena, qual è il primo impegno della giornata seguente, la telefonata da fare all’amica o al parente ecc. ecc.
Tutto questo è figlio di una distrazione che a sua volta nasce da un numero eccessivo di minuti che il sacerdote spende sull’Ambone, senza magari rendersene conto e, in certi casi, dal mancato dono della comunicatività.
“Un ‘omelia non deve durare più di dieci minuti, o il fedele si perde”, ha dichiarato il Pontefice durante il suo discorso ai vescovi e al clero nel corso del viaggio in Slovacchia. A Bratislava, nella Cattedrale di San Martino, Bergoglio ha così aperto un’ampia parentesi sulla predicazione. “Qualcuno mi ha detto che in ‘Evangelii gaudium’ mi sono fermato troppo sull’omelia, perché è uno dei problemi di questo tempo – ha esordito -. Sì, l’omelia non è un sacramento, come pretendevano alcuni protestanti, ma è un sacramentale! Non è una predica di Quaresima, no, è un’altra cosa. È nel cuore dell’Eucaristia “La gente dopo otto minuti perde l’attenzione, a patto che sia molto interessante. Ma il tempo dovrebbe essere 10-15 minuti, non di più. E pensiamo ai fedeli che devono sentire omelie di 40 minuti, 50 minuti, su argomenti che non capiscono, che non li toccano…”.
Il Santo Padre ha poi portato un esempio avvenuto durante i suoi anni di formazione: “Un professore che ho avuto di omiletica diceva che un’omelia deve avere coerenza interna: un’idea, un’immagine e un affetto; che la gente se ne vada con un’idea, un’immagine e qualcosa che si è mosso nel cuore”.
In effetti come lo stesso Pontefice ricordava, l’annuncio del Vangelo è estremamente semplice. Gesù per farsi comprendere usava elementi della Terra come gli uccelli o i campi; cose assai concrete e di facile intuizione per la gente di quel tempo.
L’esortazione del Vescovo di Roma è stata accolta con un applauso scaturito dalla navata. Com’è nel suo carattere, Francesco ha così commentato tale esternazione: “Mi permetto una malignità: l’applauso lo hanno incominciato le suore, che sono vittime delle nostre omelie!”.
Auguriamoci dunque che i sacerdoti tutti, prendano spunto da questa riflessione per far sì che la Parola possa veramente entrare nella testa e nei cuori dei fedeli.
Aiutare a comprendere il significato di quelle frasi che da oltre 2000 anni accompagnano l’umanità significa usare un linguaggio semplice, diretto e sintetico. Il modo poi di approfondire e fare ulteriori domande non manca, purché avvenga nel momento giusto.
Vedremo, dunque, come e se i sacerdoti attueranno tale raccomandazione. Di certo l’importanza e la bellezza della Parola di Dio sono fattori che non muteranno in base ai minuti spesi per comprenderla ed esternarla.
Stefano Boeris