Lo scrittore e giornalista nordirlandese Michael Phillips presenta il coraggioso memoir “A Belfast boy”, il racconto del suo viaggio dai Troubles nell’Irlanda del Nord passando per i fuochi dell’IRA e il carcere a Londra, fino alla nuova vita in Italia. L’autore riflette su cosa abbia significato nascere e crescere in una zona di guerra nel cuore d’Europa, e su come la severa lezione di quell’esperienza stia venendo gettata al vento: non è infatti ancora estinta la fiamma del conflitto tra indipendentisti e lealisti, e l’avvento della Brexit potrebbe contribuire ad alimentarla.
A Belfast boy di Michael Phillips è un’intensa autobiografia che racconta uno spaccato di vita straordinario, mescolando memorie private e accadimenti della Storia irlandese. L’autore narra la sua personale esperienza intrecciata con gli episodi più violenti che hanno scosso la sua patria, dai Troubles iniziati alla fine degli anni Sessanta in Irlanda del Nord e durati trent’anni, alle azioni dell’IRA contro la scomoda presenza britannica. Nel raccontare delle lotte sanguinarie tra i protestanti lealisti e i cattolici indipendentisti, Michael Phillips riflette sulla rabbia e il rancore che hanno accompagnato lui e il suo popolo anche dopo l’esile accordo di pace raggiunto alla fine degli anni Novanta; narrando del suo periodo di carcere in Inghilterra come prigioniero politico, perché ingiustamente giudicato colpevole di terrorismo, egli afferma: “Dopo essere uscito di prigione, per molto tempo ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse. Non riuscivo a trovare la mia strada e ho viaggiato per anni nel tentativo di compensare la mia inquietudine”. Con un trauma che gli scorre nel sangue – e che lo rende spaventosamente simile a tutti quelli della sua generazione nati in Irlanda del Nord – egli non può non ammettere di essere compromesso, e di non essere uscito indenne da un’infanzia vissuta a stretto contatto con la violenza: “Con la prospettiva di un futuro catastrofico davanti agli occhi, adolescenti e giovani adulti trovarono strade alternative per sfuggire alla loro realtà”. Ed è per questo motivo che A Belfast boy racconta non solo la storia di Michael, ma anche quella di tutti coloro che hanno dovuto convivere con quei tragici eventi, che hanno dovuto assistere alla morte ingiusta di tanti amici e parenti, e che hanno vissuto sotto uno stretto quanto insensato regime militare: “Come tutti i ragazzini, ad un certo punto della nostra infanzia avevamo giocato a fare i soldati, ma spesso ci ritrovavamo a gironzolare attorno a dei soldati veri, credendo che anche loro stessero recitando una parte. Era surreale”. Sono dovuti passare vent’anni dall’uscita di prigione prima che l’autore potesse elaborare con lucidità la sua storia e riversarla coraggiosamente sulla pagina; vent’anni passati a raccogliere i pezzi della sua anima, e a tentare di costruirsi un futuro sereno, benché lontano dalla sua patria. E l’esito delle sue riflessioni è un libro potente e onesto, che racconta della sua infanzia segnata dalla precoce morte del padre e vissuta in una società brutale, dei suoi viaggi catartici e di quelli falliti, del suo ardente desiderio di volare e della sua alienante esperienza in carcere. Michael Phillips scrive per liberarsi dai dolorosi e tossici fantasmi del passato, ma anche per non far dimenticare che la “guerra sporca” non è finita ma è solo in quiescenza, in attesa di esplodere ancora
(intervista a cura di Francesco Vitale)