Il Premio Campiello Carmine Abate ci ha già abituato alla bellezza grazie alla sua lunga narrazione intima, delicata, sulla sua famiglia e sulle altre famiglie calabro-arbëreshë, sulla Terra e sulle radici, iniziata con Tra due mari e (almeno per ora) terminata con la sua tredicesima opera “Il banchetto di nozze e altri sapori” (Mondadori).
Essere avviluppati dalla bellezza, essere avvolti da un lungo abbraccio caldo, dove non c’è morte ma soltanto un incorruttibile inno alla vita, alla propria storia, al cibo che quella vita e quella storia avvolge e rassicura.
“Il banchetto di nozze e altri sapori” è uno scrigno letterario, fra il breve romanzo e la raccolta di racconti, che una volta aperto sorprende il lettore con un florilegio di sapori, di colori, di odori, sapori, colori e odori che vengono da lontano, da una Comunità fuggita dall’Albania dal dominio ottomano nel ‘400 e residente in Calabria, pregna di costumi, usanze, pietanze sanizze. In questo scrigno letterario le parole italiane, calabresi, arbëreshë e tedesche vengono gustate, assaporate, odorate, ne sentirete il bruciore perché sono cosparse di peperoncino, sanno della fragranza di un pane che si bacia. Abate accenna ai suoi libri precedenti come La festa del ritorno, Il ballo tondo, La felicità dell’attesa e Vivere per addizioni e altri viaggi, per rilanciarne il loro nettare in una sinfonia composita fatta di convivialità, affetti familiari e origini, in un amarcord che passa dai nonni ai nipoti transitando per lo stesso Scrittore. Si vive per addizioni, sommando gusti antichi a saporosità nuove, provenienti da altre regioni, da altri mondi, come la polenta alla ‘nduja, che unisce settentrione e meridione d’Italia.
“Il banchetto di nozze e altri sapori” è la scoperta di sentimenti autentici fra i genitori e fra questi e i propri figli, tra fidanzati, sentimenti antichi e in alcun modo toccati dalle vicissitudini della vita, perché sono immutabili e duri come le asperità della terra calabrese e la legnosità degli alberi con cui si fa il fuoco davanti alla chiesa del paese la notte di Natale.
Il cibo è saporitoso e lo mangi con occhi socchiusi perché sai che poi ne sentirai la nostalgia. Leggerete odorando i sentori del mare calabro e delle montagne trentine.
E poi il banchetto nuziale finale tuonerà in una commovente e vera gioia, dinanzi ai vostri occhi trascinati dalle emozioni vissute dall’Autore durante il suo pranzo di nozze.
Io mentre sto scrivendo ne sento ancora i palpiti e vorrei ancora da essi essere cullato.
“Ogni luogo è un sapore. Chissà che palato ricco di gusti ti farai vivendo in tanti posti diversi. L’importante è che li aggiungi ai sapori della nostra terra, di quelli siamo fatti nel profondo, della sua scorza odoriamo, anche se viviamo altrove”.
Fabrizio Giulimondi