Antonella Azzoni, già Autrice del fascinoso “Amore e morte del Cavaliere F. de S” (edizioni Pagine), che nel 2016 ha ricevuto la Segnalazione Particolare della Giuria al 41° Premio Letterario di Poesia, Narrativa e Saggistica “Giuseppe Frunzi”, emerge negli scaffali delle librerie con la raccolta “La prima e altri racconti” (Albatros). Stile morbido, soffice, felpato, pastello, quasi che l’inchiostro sparso dal tratto della penna voglia entrare negli occhi del lettore di soppiatto, attratto dall’Autrice con una ipnotica scrittura. Le parole hanno la consistenza di un panno di cachemire purpureo, settecentesco. La penna della Azzoni è un pennello e il foglio una tavolozza, anzi no, uno spartito, e le mani sfiorano la tastiera di un pianoforte. D’altronde, quale è la differenza fra parola cantata e gorgheggiata, quella scritta, un tocco di pennello e la manipolazione impressa con forza su una bitorzoluta massa marmorea, se non la diversità di un segno estetico scaturito da una medesima scintilla emozionale e divina.
Subdolamente vellutato, apparentemente estemporaneo, come se fosse non voluto, il tratteggio psicologico si incunea in ogni personaggio e le evidenze talora di natura psichiatrica emergono in maniera sempre più pressante fra le pieghe ondulate delle storie, sulla cui calma lacuale irrompe una brezza vigorosa quanto inaspettata. L’Autrice ha un proprio angolo prospettico che inizialmente pone al di fuori dei personaggi, per poi avvicinarlo ad essi ed entrarvi e irradiarli dal di dentro, illuminati dalla loro vera interiorità: non una anonima donna o un anodino uomo ma ben altro, come se un ectoplasma prima invisibile si rilevasse nella sua autenticità corporea.
Scrittura e lirica, letteratura e teatro, parole e sonorità musicali classiche, ambientazioni raffinate parigine, ironia e una punta di aristocrazia in una Scrittrice che più che Alice Monroe ricorda Autori russi, sì Autori russi naturalizzati francesi, ed evoca un espressionismo che dal livello pittorico di Chagall passa a quello letterario, in una metamorfosi kafkiana che vede “Il Funambolo” dell’ultimo racconto – innamorato di una Belle Helène moderna e in carne ed ossa e non di quella omerica dell’Iliade e dell’Odissea o della Elena fatta amare da Faust per volontà di Goethe – trasformarsi non in un orrido insetto ma in un aggraziato uccello, pronto a trillare.
Ogni storia è uno sguardo onirico, una visione immaginifica che può inquietare l’animo del lettore che penetra in un fitto reticolato misterioso e criptico di sogni che potrebbero, invero, essere la realtà o, all’inverso, di dimensioni del reale che potrebbero essere solo immagini proiettate nelle menti di chi dorme e non sa di farlo. Il selciato del percorso narrativo è cosparso di un tempo senza tempo e di uno spazio senza spazio.
Nutrirsi non di cibo ma dei suoi colori e dei suoi odori è l’incanto poetico che invito ogni lettore a vivere.
Fabrizio Giulimondi